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Comunicazione della diagnosi:risposta di Veronesi



La risposta del Prof. Umberto Veronesi al Prof. Renato Cimino sulla comunicazione della diagnosi



"La comunicazione della diagnosi,da parte dello Specialista, di una malattia invalidante o neoplastica, è ancor oggi oggetto di vivaci discussioni sulle migliori modalità di effettuazione, in Italia.
innanzitutto bisogna individuare il familiare al quale comunicare, scelta non sempre facile alla luce di complicati rapporti sentimentali oggi molto frequenti. Poi occorre fare attenzione alla sensibilità assai diversa delle persone che spesso condiziona reazioni spropositate all'atto della comunicazione, non di rado anche a rischio di complicanze cardiocircolatorie impreviste.
E' consigliabile poi, per varie ragioni, lasciare sempre intravedere la speranza di una guarigione o di una lunga sopravvivenza.
Vorrei sapere da Lei, illustre Collega, il miglior comportamento in tali situazioni, derivante dalla sua lunga esperienza, per una salutare meditazione sull'argomento utile a tanti medici. " Renato Cimino



"Caro Renato, riprendo quanto ho già scritto su questo argomento in risposta a un messaggio già pubblicato su questo forum.
E' diritto del malato conoscere la verità circa il suo stato, ed è dovere di chi lo cura comunicargliela.Una persona malata per guarire, oltre ad aver bisogno di cure, ha bisogno di vivere un rapporto di fiducia con chi si prende cura di lei. Proprio perché il rapporto del malato con il proprio medico è una priorità, non può fondarsi sull'imprecisione o sull'equivoco. Quindi dire la verità sulla diagnosi è fondamentale, con tatto, ma va detta.
Informare un paziente però non vuol dire togliergli la speranza o il coraggio, anzi. E questo dipende moltissimo dalla comunicazione da parte del medico: ci sono casi in cui, in un difficile equilibrio, il medico deve saper anche discernere come, cosa e quanto comunicare. A volte, percependo che questo è l'aiuto reale per il suo paziente, può anche decidere di assumere su di sé le responsabilità, di raccontare senza dire, ma sempre aiutando, confortando e incoraggiando. Inoltre, la mia esperienza di medico me l'ha insegnato, quando il malato è messo di fronte alla realtà della sua condizione – con la dovuta accortezza e attenzione alla sua sensibilità - dopo un primo momento di sconcerto reagisce per lo più in modo costruttivo e matura una determinazione a guarire molto più forte di quella che può avere un malato incerto o dubbioso sulla natura del proprio male.
Bisogna però distinguere sempre e nettamente la diagnosi dalla prognosi. Se non si può barare sulla diagnosi, nella prognosi dobbiamo essere sempre un po' ottimisti, anche perché non abbiamo mai certezze. Non dimentichiamo che la medicina, nel bene e nel male, non è una scienza certa: al di là dei dati statistici ed epidemiologici, e perfino al di là della valutazione clinica della persona malata, in realtà nessun medico potrà mai stabilire con certezza quale sarà l'evoluzione esatta della sua malattia.
Inoltre oggi il varco della speranza è diventato più ampio. Per esempio, mentre anni fa dare una speranza a un malato di cancro poteva apparire una forzatura, oggi guarisce il cinquantacinque per cento dei malati, e nelle donne colpite dal cancro al seno la percentuale sale fino all'ottanta per cento.


15/02/2007

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