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Proteine anti-tumore, al via nuovi studi


Vengono estratte dall'embrione di un pesce, lo Zebrafish, e si sono già dimostrate efficaci contro il carcinoma del fegato in fase avanzata.


Ha dato risultati più che incoraggianti in pazienti colpiti da tumore del fegato in fase avanzata ed entro alcuni mesi verrà messa alla prova contro alcune neoplasie della vescica, della prostata e del cervello. Parliamo di una terapia che costa solo 40 euro al mese, si basa sulle capacità anti-cancro proprie dell’embrione e punta non tanto ad uccidere le cellule malate, quanto piuttosto a “riprogrammarle” in cellule sane.



Messa a punto da un “outsider”, Pier Mario Biava, primario di medicina del lavoro all’ospedale di Sesto San Giovanni (Milano), la terapia utilizza una serie di proteine prodotte dall’embrione in determinate fasi del suo sviluppo, che vengono chiamate “fattori di differenziazione”, perché regolano alcuni meccanismi fondamentali per la maturazione delle cellule da staminali indifferenziate a cellule specializzate nelle loro diverse funzioni. Questi fattori di differenziazione, estratti dall'embrione di un pesce tropicale chiamato Zebrafish, sembrano in grado di ricondurre alla normalità fisiologica, in alcuni casi, le cellule tumorali, ovvero di risolvere il difetto genetico che le rende incapaci di completare il loro sviluppo e le spinge a moltiplicarsi indefinitamente.



Nelle prove di laboratorio, i fattori di differenziazione hanno dimostrato di poter bloccare la moltiplicazione cellulare in otto tipi di tumori umani diversi (mammella, rene, fegato, cervello, utero, melanoma e leucemia linfoblastica acuta), riparando l’anomalia all’origine della malignità oppure, quando ciò non era possibile, attivando il programma di distruzione della cellula malata.



Una prima sperimentazione clinica su pazienti con un carcinoma epatico, eseguita somministrando dosi bassissime di queste sostanze (nell’ordine dei microgrammi), in tre dosi quotidiane sotto forma di pastiglie sub-linguali, ha confermato i risultati positivi. I dati ottenuti, pubblicati alcuni mesi fa dalla rivista Oncology Research, evidenziano infatti un netto miglioramento nella sopravvivenza generale e il blocco della malattia per il 36 per cento dei malati (non progressione o addirittura, nel 20 per cento dei casi, regressione).
Pier Mario Biava è tornato a parlare del suo lavoro, nei giorni scorsi, in occasione di un convegno sulle cellule staminali organizzato da Salvatore Smirne, direttore della Clinica Neurologica quarta dell’Università degli studi di Milano. Gli domandiamo che ne è di quei pazienti, partiti da condizioni di malattia molto avanzata e senza altre opzioni di cura, che hanno beneficiato della terapia con i fattori di differenziazione nel corso della sperimentazione (durata dal gennaio 2001 all’aprile 2004). «Alcuni di loro continuano a seguire la cura - risponde Biava. - In certi casi la malattia si ripresenta, ma sembra essere nuovamente fermata dalla terapia e, per il momento, senza che emergano effetti collaterali negativi». Risultati che suscitano l’interesse di più di un addetto ai lavori, ma che Biava riconduce alla massima cautela: «E’ vero - dice - i dati positivi ci sono, ma occorre fare un passo alla volta e raccogliere tutte le conferme possibili».
Un’importante controprova, sia pure indiretta e riferita ad animali, è arrivata da una ricerca del Children’s Memorial Research Center e del Cancer Center di Chicago, negli Stati Uniti, che ha dimostrato come l’impianto di un melanoma nell’embrione di Zebrafish non dia luogo allo sviluppo di un tumore, al contrario di quanto avviene nel pesce adulto, perché, secondo gli autori, il cosiddetto “microambiente embrionario” protegge dalle neoplasie. A questo punto, visto che questa strada sembra promettente, va affinata, creando terapie sempre più personalizzate, poiché ogni paziente ha bisogno di una cura che agisca su una diversa espressione genica. E - tornando a Biava - è necessario capire perché le pillole sublinguali non hanno aiutato tutti i malati di epatocarcinoma. Infine, bisogna studiare come possono agire queste sostanze su altre forme tumorali. «Siamo pronti - annuncia Biava - a partire con una nuova fase di studi clinici, in collaborazione con il Policlinico di Milano, che coinvolgeranno malati di glioblastoma multiforme, carcinoma della vescica e della prostata. Sono in preparazione i protocolli sperimentali e l’avvio è previsto per l’inizio del 2007. Intanto, anche alcune aziende farmaceutiche hanno mostrato interesse a questo filone terapeutico».

30/10/2006

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